Con il format del Jazz’inn sei stato il primo a lanciare il concetto di slow dating. Come nasce questa idea?
“Jazz’Inn” nasce per salvare un Festival Jazz nel 2017 a Pietrelcina. Per salvare questo Festival Jazz ci siamo inventati un format di incontri utilizzando la metodologia del World Cafè, basato quindi su tavoli di lavoro lontani dalle grandi città, affiancati da momenti conviviali. Alla fine della prima edizione scoprimmo che far sostare per 24-48 ore i partecipanti, spostandoli da quella sorta di comfort zone che permetteva loro solo di scambiarsi qualche biglietto, permetteva loro di essere protagonisti e di metterli in condizione di confrontarsi e partecipare attivamente. Questa prima edizione fece emergere tutta una serie di esigenze e una iniziativa nata per altri obiettivi si rivelò come un perfetto modello di Open Innovation, una occasione nella quale persone avevano modo di confrontarsi e di superare le barriere tipiche degli eventi sulle startup e sull’innovazione innovazione. Cominciarono a quel punto a nascere le prime collaborazioni e le prime sinergie. È a qual punto che coniammo il termine di “Slow Dating for Innovation”.
Qual è il focus attuale della fondazione?
Lo scorso anno, a settembre, dopo sette anni di attività abbiamo, ottenuto il riconoscimento giuridico come fondazione di partecipazione e organismo di ricerca dal Ministero questo ci ha portati a fare da un lato una sorta di consuntivo di quanto fatto in questi anni e dall’altro anche a capire quale è la strada seguire. Come fondazione ci siamo focalizzati su 5 aree tematiche: borghi e aree interne, per quanto concerne la loro rigenerazione; l’open innovation, con l’obiettivo di aiutare le imprese a incontrare l’innovazione; il Capacity Building e il tema della formazione delle competenze; Smart City e Smart Citizen, sostanzialmente una tematica connessa trasformazione delle città e delle persone, e poi la Consulenza per l’innovazione, anche con progetti di accelerazione come quello che portiamo avanti con Accelerate Italy da qualche anno. Queste cinque aree sono diventate il focus della fondazione, e ovviamente ci stiamo strutturando per poter affrontare e gestire questo processo di trasformazione con una nuova governance trasparente separando i poteri tra consigli di indirizzo e consiglio di amministrazione. Stiamo seguendo diversi investimenti più o meno piccoli più o meno grandi sia di start up che di imprese e altre aree di attività sulle aree interne quindi la tematica è abbastanza diversificata su quei cinque asset indicati
Cos’è per te il Made in Italy?
Il Made in Italy è per me turismo, cultural heritage, economia legata alle potenzialità dei territori, all’indotto dell’agroindustria dell’artigianato. Sostanzialmente è creatività, innovazione di processo e di prodotto e problem solving tipico dei nostri imprenditori. Vedo però un grande fattore di rischio derivante da più di 30 anni di mancata capacità di rinnovarsi del nostro tessuto produttivo e industriale, affiancato anche da una polverizzazione e una sottocapitalizzazione delle nostre imprese. Diciamo che il capitalismo familiare italiano non è certamente una garanzia, tranne che in pochi casi. Il tema va affrontato con la dovuta attenzione. Il Made in Italy per me non è soltanto quello che viene prodotto in Italia e quello che viene pensato in Italia ma quello che viene immaginato l’Italia e può essere materiale o immateriale. Può essere una borsa, così come può essere un paio di scarpe, un vestito oppure un prodotto culturale come un film o un libro. Occorre che tutte queste cose riescano a connettersi tra loro, a connettersi con le emozioni e le emozionalità di chi “compera Italia” e non solamente un brand. È necessario migliorare la capacità del nostro sistema di attrarre verso il paese e verso le proprie eccellenze. L’innovazione deve essere portata nel paese in modo da diventare strumento competitivo e far si che il binomio tra prodotto e luogo di produzione diventi la vera unicità del Made in Italy, una unicità che altri non hanno.